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Cronaca Capaccio

La congiura di Capaccio: storia e leggenda di una cospirazione

Nonostante Federico II sia stato un sovrano amato da molti, esisteva una fazione di sudditi che desiderava porre fine al suo regno: ecco la storia della congiura ordita contro di lui a Capaccio

Noto con il soprannome di “stupor mundi”, Federico II di Svevia regnò sull’Italia in modo saggio e innovativo integrando a una forte azione legislativa anche una grande attività artistica e culturale, eppure, come spesso capita anche ai sovrani più saggi, non a tutti piaceva il suo modo di regnare. Piccole e grandi fazioni che cercavano di remargli contro esistevano in tutto il paese, ma la congiura che è rimasta nella storia è sicuramente quella avvenuta al Castello di Capaccio nel 1246 a opera di cospiratori dalle nobili origini meridionali. Quella contro Federico II di Svevia era una congiura che partiva da Papa Innocenzo IV che, temendo le mire espansionistiche dell’imperatore, coinvolse nel piano anche i casati più antichi e potenti dell’Italia meridionali scontenti del re. Di fatto a partecipare alla congiura furono i Fasanella, i Morra e i Francesco, i Sanseverino e gli Eboli, tutti accomunati dal desiderio di vedere il re e i suoi figli morti.

Nonostante il piano sembrasse perfetto, qualcuno dei congiurati confessò tutto al re che partì alla volta del Cilento. Nel frattempo, ai congiurati era stata già data la caccia tanto che Sala Consilina e Altavilla Silentina furono prese e rase al suolo: solo un gruppo di 150 ribelli trovarono rifugio presso il Castello di Capaccio, all’epoca fortezza inespugnabile. La leggenda vuole che Federico II e i suoi cinsero d’assedio il castello per ben quattro mesi prima di poter dichiarare vittoria: i congiurati dichiararono la resa perché affamati e assetati dallo stesso sovrano che aveva trovato il modo di sabotare la cisterna che riforniva il castello e lasciarli senza acqua. Una volta arresi, i colpevoli furono incarcerati e il sovrano li giudicò applicando la Lex Pompeia de parricidio e si racconta che la loro sorte fu davvero terribile: alcuni furono accecati, altri impiccati, altri ancora legati a cavalli e trascinati, altri furono chiusi in sacchi insieme a vipere e buttati in mare, mentre le donne coinvolte vennero vendute come schiave. La giustizia di Federico II non si fermò alle pene inflitte alle persone, ma coinvolse anche il castello stesso: emise, infatti, un ordine per cui ne decretò la distruzione e probabilmente è per questo che oggi del Castello di Capaccio restano solo dei ruderi.

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