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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Vallo della Lucania

In ospedale per "87 ore": il film sulla morte di Mastrogiovanni

Francesco era un maestro elementare. E' morto "di fame e di sete" durante un Trattamento sanitario obbligatorio, legato a un letto d'ospedale. Oggi i suoi ultimi giorni sono diventati un doloroso film

ROMA - Perché? E' questa la domanda che resta senza risposta guardando "87 ore - Gli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni", film di Costanza Quatriglio proiettato la settimana scorsa al teatro Palladium in occasione del festival di cortometraggi e nuove immagini "Arcipelago". Perché diciotto persone, tra medici e infermieri, hanno permesso che il maestro elementare cilentano morisse, di fatto, di fame e di sete, legato in un letto dell'ospedale di Vallo della Lucania durante un Trattamento sanitario obbligatorio? Perché un maestro alto quasi due metri è entrato camminando da una sola anta della porta verde del reparto di psichiatria ed è invece uscito, 87 ore dopo, dalle due ante della stessa porta per far passare una barella metallica che lo ha portato all'obitorio?

Il film, per chi conosce la storia di Mastrogiovanni, è un colpo allo stomaco. Per chi non la conosce, al cuore. Non tocca altre corde. Non vuole toccare altro che non i sentimenti. Vedere un maestro elementare morire legato a un letto, nudo, affamato e assetato fa male. E, soprattutto, fa male immaginare che una doccia in un lido di Acciaroli, una delle spiaggie più belle d'Italia, sia l'ultimo gesto "umano" compiuto da una persona che, nella sua vita, è stato un anarchico, un libero pensatore, volendo "un ribelle". Ma, per tutti, era solo un bravissimo maestro elementare. Il maestro più alto del mondo. Dopo quella doccia nel lido della sua amica Licia è salito su un'ambulanza facendo una sola richiesta: "Non portatemi all'ospedale di Vallo, lì mi ammazzano".

Non è un caso che il film di Costanza Quatriglio si apra e si chiuda con il rumore delle onde del mare. Lui, che amava il suo Cilento e che dal Cilento era andato via per troppo tempo, in gioventù, emigrato in provincia di Bergamo dopo un ancora non chiaro caso di cronaca "politica" che lo ha visto suo malgrado coinvolto, d'estate era sempre lì, in spiaggia. Il film non lo dice, lo fa vedere: si vede quando è nudo, legato al letto dell'ospedale, il segno dell'abbronzatura dalle cosce alla cintola. Indossava un costume, quando è stato fermato dopo ore di "caccia all'uomo" tra la spiaggia e l'acqua del mare. E' morto coperto solo da un pannolone in cui espletare i suoi bisogni fisiologici. 

Le telecamere di sicurezza dell'ospedale hanno ripreso ogni singolo secondo di quelle 87 ore disumane. E quelle telecamere sono state una sorta di "aiuto alla regia" per l'autrice del film che ha deciso di non nascondere niente di quell'agonia: si vedono i medici che lo "curano", lui che si alza e passeggia, piedi scalzi e solo i boxer addosso, per i corridoi. Gli infermieri che lo riportano a letto. Lo sedano. Lo legano. Gli cambiano stanza e lo portano, a morire, proprio davanti alla loro sala. "Per controllarlo meglio", dicono. 

I suoi cari lo hanno salutato giorni prima. E anche quando la nipote Grazia e il suo fidanzato sono andati in ospedale per chiedere notizie del "maestro più alto del mondo", come lo chiamavano i suoi bambini, così alto da non entrare nel letto, non hanno potuto far altro che ascoltare il disumano racconto di un medico: "Vostro zio sta bene, sta riposando. Riposerà per altri dieci giorni. Non possiamo farvelo vedere perché potrebbe agitarsi". Ma zio Franco non stava riposando. Era sedato. Non stava riposando. Era legato al letto. Non stava riposando: era inerme per i farmaci, per la fame, per la sete.

 "Mi sono fidata dei medici. Di quel giorno in ospedale, oggi, ricordo meglio delle altre una cosa: una porta gialla con il vetro coperto da una vernice bianca per non farci vedere cosa accadeva nel reparto". Grazia non poteva vedere che zio Franco stava morendo. Si è fidata di chi le ha detto che stava bene. Parole fredde che nascondevano il trattamento disumano che stava subendo. Talmente disumano da non essere nemmeno riportato nella cartella clinica. Non si parla, mai, di contenzione. Non c'è scritto che era legato al letto. Il motivo? Secondo medici e infermieri, "non c'era bisogno di scriverlo. Le telecamere riprendevano tutto". Ma quelle telecamere mostrano altro, come dice Grazia: "Mostrano che nessuno ha fatto nulla per aiutarlo, e quindi salvarlo. Persone che per lavoro, e toccate da un vincolo deontologico e morale, avrebbero dovuto assisterlo, nutrirlo, dissetarlo e rincuorarlo".


 

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