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Cronaca

Genitori di bimbi stranieri non possono essere rimpatriati: la sentenza del tribunale di Salerno

Un decreto della Corte d'Appello è destinato a far discutere il mondo politico a livello nazionale rispetto all'applicazione del Decreto Sicurezza del ministro Matteo Salvini

E’ destinata a far discutere, soprattutto nel mondo politico a livello nazionale, la sentenza emessa dalla Seconda sezione civile della Corte d’Appello di Salerno, riguardante una famiglia di immigrati. Al centro della querelle giudiziaria l'applicazione del Decreto Sicurezza del ministro Matteo Salvini.

La storia

I giudici – riporta La Città - hanno accolto il ricorso contro il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per assistenza a due bambini (uno di quattro anni e l’altro di sei mesi, nati a Nocera Inferiore e a Sarno) deciso dal Tribunale per i minorenni di Salerno. L’istanza era stata presentata dai genitori dei bimbi, originari del Marocco ma residenti in Italia da circa un decennio con regolare permesso di soggiorno. Nel febbraio dello scorso anno, i due, che all’epoca avevano solo il primo figlio e in attesa del secondo,  avevano chiesto al Tribunale dei minori di Salerno un provvedimento di proroga dell’autorizzazione alla permanenza in Italia, in base alla legge 286 del 1998 che autorizza i giudici minorili a concedere permessi di soggiorno anche in deroga ad altre norme, purché sussistano “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” del minore. Il primo grado si era concluso con la sentenza del 28 settembre, quando era nato da un mese il secondo bimbo: i giudici rigettarono l’istanza della coppia marocchina.

Il decreto

Di qui il ricorso in Appello con i giudici che hanno ritenuto, invece, prevalente l’interesse del minore poichè l’eventuale allontanamento dei genitori dal territorio nazionale in cui sono radicati da circa un decennio, “cagionerebbe ai figli significativi pregiudizi per una crescita serena ed equilibrata, soprattutto ove si consideri che la perdita, da parte dei genitori, dell’attuale posto di lavoro (…) incrinerebbe l’equilibrio del nucleo familiare non solo sotto il profilo strettamente economico ma anche sotto quello relazionale ed affettivo, che ne risulterebbe inevitabilmente compromesso”.

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