rotate-mobile
Cronaca

Chiedevano soldi per far saltare le liste d'attesa al Ruggi: 4 medici nei guai

Nell'elenco spunta anche il primario del reparto di Neurochirurgia, finito agli onori della cronaca perchè accusato di aver intascato presunte mazzette necessarie a far saltare le liste d'attesa. Coinvolto anche il noto luminare giapponese Fukushima

I carabinieri del nucleo investigativo di Salerno hanno eseguito nel nostro territorio e in altre province quattro provvedimenti cautelari emessi dal gip a carico di quattro medici dell’azienda ospedaliera-universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona per il reato di concussione. I provvedimenti rientrano nell’ambito di una inchiesta su un presunto giro di mazzette e liste d’attesa modificate proprio nel reparto in questione.  Le indagini sono state avviate nel mese di maggio 2015 dopo la denuncia presentata ai carabinieri dal familiare di una paziente ricoverata presso l’ospedale di via San Leonardo, sottoposta a un intervento alla testa e poi deceduta. Secondo le indagini, l’operazione chirurgica era stata preceduta dal versamento di una somma in denaro per accelerare i tempi in lista d’attesa. 

Gli aggiornamenti.  Il 5 aprile, a Salerno, Avellino e Pisa, i carabinieri del Nucleo Investigativo del  Comando Provinciale di Salerno, in collaborazione con i militari dei reparti territorialmente competenti, hanno eseguito una misura cautelare personale, emessa dal GIP presso il  Tribunale di Salerno nei confronti di 4 indagati (3 agli arresti domiciliari e 1 sospensione dall’esercizio di pubblico servizio), accusati di concussione (3 persone), omessa denuncia e abuso di ufficio (1 persona). Le indagini che hanno portato all’emissione del provvedimento cautelare sono state  avviate a seguito di elementi informativi acquisiti che indicavano come prassi diffusa nel reparto di neurochirurgia dell’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno il fatto che alcuni medici effettuassero interventi chirurgici in apparente regime di “intramoenia”, ricorrendo però solo formalmente alla normale procedura di prenotazione e pianificazione dell’intervento chirurgico, modificando invece le liste di attesa per gli  interventi e costringendo i pazienti a versare loro un cospicuo corrispettivo in denaro, che veniva trattenuto senza versamenti (previsto il 5%) nelle casse dell’Azienda Ospedaliera. Le indagini iniziate nell'aprile dello scorso anno hanno consentito di delineare un  “sistema concussivo” messo in atto dal personale sanitario del reparto di neurochirurgia e del “Fukushima Brain Institute”, clinica privata di San Rossore (PI). E' emerso che il primario di neurochirurgia utilizzava il reparto da lui diretto per eseguire interventi chirurgici dissimulati come prestazioni “intramoenia”, utilizzando l’ospedale come clinica privata, regolando le prestazioni sanitarie in favore dei pazienti al di fuori delle regolari liste d’attesa e percependo indebiti compensi non dichiarati, spesso oggetto di contrattazione con lo stesso paziente (in alcuni casi, a malati meno abbienti veniva praticato uno “sconto” rispetto alla richiesta iniziale). Le prestazioni al centro dell'indagine riguardano esclusivamente pazienti in condizioni di salute particolarmente gravi, spesso con una breve aspettativa di vita, i quali, posti di fronte all’alternativa di dover pagare per essere immediatamente operati da medici di grande esperienza o attendere lo scorrimento della lista di attesa per essere operati da uno qualsiasi dei chirurghi del reparto, hanno acconsentito versando i soldi richiesti per accelerare i tempi.

Il sistema concussivo faceva riferimento al dottor Luciano Brigante, 50enne, di Avellino, primario del reparto di neurochirurgia dell’ospedale civile “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno. Questi, in diverse occasioni, approfittando delle gravi condizioni di salute dei pazienti (tra le patologie principali, neurinoma dell’acustico, metastasi cerebrale, problemi spinali, meningioma, neoplasia cerebrale), prospettava ai malati che riceveva per un consulto  ovvero a quelli già in cura, la necessità di effettuare con urgenza delicati interventi  chirurgici, per evitare pericolosi aggravamenti delle patologie. Una volta ottenuto il consenso alla prestazione sanitaria, il primario rappresentava la possibilità di eseguire l’operazione presso il dipartimento da lui diretto, rassicurando che avrebbe curato di  persona l’operazione e garantendo il superamento delle regolari liste d’attesa del CUP, costringendo il malato o i suoi familiari a versare preventivamente un corrispettivo in danaro, stabilito volta per volta a seconda della complessità dell’intervento e della gravità della patologia. In tutti i casi documentati è stato riscontrato che i costi di ricovero e degenza erano comunque imputati al servizio sanitario nazionale, che gli interventi chirurgici venivano effettuati durante le ore di servizio ordinario presso il nosocomio, diversamente da quanto previsto dalla legge, e che il corrispettivo in denaro, mai dichiarato, percepito da Brigante ovvero da Fukushima o ancora da Liberti, era stato interamente trattenuto senza versare la percentuale prescritta dal tariffario autorizzato. Le indagini, in particolare, hanno consentito di documentare le richieste concussive avanzate dal primario a 5 pazienti, sottoposti ad intervento chirurgico per cifre che oscillano tra i 1.500 e i 2.000 euro. In due casi, i pazienti, non per un ravvedimento del primario, bensì per un intervento esterno di premura presso lo stesso professionista da parte di altri colleghi, non hanno versato alcun compenso al professionista, beneficiando  della copertura del servizio sanitario nazionale, avendone titolo.

E' anche emerso il particolare rapporto di collaborazione che lo stesso primario aveva con Takanori Fukushima, 73enne, noto  neurochirurgo di fama mondiale, direttore del “Fukushima Brain Institute” di San Rossore e destinatario di informazione di garanzia il 14 maggio 2015 nell’ambito dello stesso contesto di indagine. Nel corso delle indagini Fukushima risulta co-esecutore con Brigante di interventi chirurgici. Sono venuti alla luce, inoltre, i rapporti tra lo stesso Brigante e Liberti che si adoperava per mettere in contatto i pazienti con il primario. Con una serie di contatti abituali, i tre riuscivano a indirizzare molti pazienti presso il reparto di neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera di Salerno, dove li sottoponevano ad interventi chirurgici, facendosi previamente consegnare indebitamente rilevanti somme di denaro. Più in particolare, Liberti utilizzava la sua posizione di preminenza (essendo anch’egli un neurochirurgo di fama, incardinato peraltro in una Azienda Universitaria e “allievo”  di Fukushima) per esercitare una pressione sui pazienti, alludendo, talvolta in maniera implicita, altre volte in modo più esplicito, alla possibilità dell’aumento del "rischio operazione" qualora gli stessi non fossero stati sottoposti a tempestivi e professionali interventi chirurgici e inducendoli così a corrispondere rilevanti somme di denaro. Brigante, poi, abusando dei suoi poteri di primario della neurochirurgia di un ente ospedaliero, ufficio che gli consentiva di predisporre e di modificare la “lista  di attesa” ed anche i turni dei medici, predisponeva il ricovero dei (avvalendosi del personale infermieristico e della coordinatrice Iannicelli), garantendo la degenza nel reparto e organizzando l’esecuzione degli interventi chirurgici, che venivano eseguiti dal team Fukushima, Liberti e Brigante.  Liberti faceva pervenire agli interessati una ricevuta (formalmente emessa  dal Fukushima Brain Insitute con sede a Pisa) con la  causale “consulenza neurochirurgica”, espediente per giustificare la somma illecita (al di fuori del regime intramoenia). Le “peculiarità” delle richieste erano funzionali ad indurre i pazienti affetti da gravissime malattie oncologiche ad accettare onerose cure, benché avessero diritto ad ottenerle nell’ambito del servizio sanitario pubblico. In particolare, in altre due circostanze, le indagini hanno consentito di accertare che Brigante e Fukushima si erano accordati affinché il primo prospettasse a due pazienti la necessità di immediati e complessi interventi neurochirurgici, da effettuare a Salerno, dove il noto collega avrebbe personalmente operato (nonostante non fosse autorizzato dalla direzione ospedaliera) al di fuori delle regolari liste di attesa e solo previo versamento di un bonifico di 5000 dollari (pari a circa 3600 euro) a titolo di donazione in favore di una fondazione americana (la “International Neurosurgery Education & Research” – INERF) diretta dallo stesso luminare giapponese, come indicato da Brigante. Nei due casi in questione, l’intervento programmato è stato reso possibile anche grazie alla collaborazione di Annarita Iannicelli, 48enne di Salerno, caposala del reparto di neurochirurgia che ha curato la disponibilità della sala operatoria per il giorno concordato e la priorità dei casi rispetto alle ordinarie liste d’attesa, facendo in modo con mirati artifizi (mancate cancellazioni di pazienti già operati) e arbitrarie inversioni di nominativi già inseriti nel CUP che i tempi di attesa per i “pazienti ordinari” (ovvero coloro che non potevano corrispondere le somme richieste dal primario e dagli altri professionisti) fossero sempre particolarmente significativi.

Simile modus operandi è emerso in altre due circostanze, in cui Brigante ha ricevuto pazienti indirizzatigli da Liberti, 61enne di Cascina, neurochirurgo dell’Università degli studi di Pisa, che operava presso il “Fukushima Brain Institute” di San Rossore. In tali casi Liberti, dopo aver segnalato alle persone la necessità di essere sottoposti a delicati interventi neurochirurgici, prospettava loro una duplice possibilità per essere operati personalmente da Fukushima: presso il “Fukushima Brain Institute” di San Rossore, dietro corrispettivo di 60.000 euro in un caso e di 57.000 euro nell’altro, oppure presso l’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno, dietro la corresponsione di “soli” 20.000 euro in un caso e di 15.000 euro nell’altro, da versare con bonifico sul conto corrente del “Fukushima Brain Institute” recante la causale “consulenza neurochirurgica”. In entrambi i casi i pazienti,  recatisi a Salerno, sono stati effettivamente ricevuti da Brigante, che ha offerto la disponibilità anche a fornire assistenza a Fukushima, ribadendo la necessità di effettuare il versamento preventivo pattuito con Liberti. In uno dei due casi, poi, Brigante evidentemente consapevole della sua condotta illecita, ha chiesto al paziente di non far parola con alcuno del corrispettivo richiesto né della sua provenienza da fuori regione. In tale occasione, dopo alcuni giorni dall’intervento e a causa del decesso del paziente, il danaro richiesto per l’operazione è stato restituito alla famiglia del defunto. Anche in queste due circostanze, l’intervento programmato è stato reso possibile grazie  alla collaborazione della caposala Iannicelli, con modalità analoghe a quelle descritte in precedenza.

Dalle indagini sono, infine, emersi indizi di responsabilità a carico di Renato Saponiero, 59enne, direttore del Dipartimento di neuroscienze e patologie cranio-facciali dell’Azienda ospedaliera di Salerno, per abuso di ufficio, per non aver controllato la regolare  gestione delle liste di attesa e degli interventi chirurgici, pur essendo a conoscenza delle modalità illecite con cui agivano gli altri indagati all’interno o in relazione alla struttura  sanitaria dallo stesso diretta. Lo stesso direttore di Dipartimento, a fronte di significative doglianze interne di cui era a conoscenza, non ha promosso alcun tipo di accertamento e non ha assunto provvedimenti disciplinari di competenza (avrebbe dovuto, entro 5 giorni trasmettere una relazione all’ufficio di disciplina dell’ASL,  oppure entro 10 giorni formulare la contestazione dell’addebito in via amministrativa), allo scopo consapevole di tutelare Brigante dato il rapporto di conoscenza decennale. Per tale motivo, per Saponiero è stata applicata la misura cautelare della sospensione  dall’esercizio del pubblico servizio di capo del citato Dipartimento, per la durata di 9 mesi. Nei confronti di Fukushima (che resta indagato per il reato di concussione), come chiarito nell’ordinanza del GIP, non è stata emessa misura cautelare perché, pur in presenza di un grave quadro indiziario, risulta residente negli Stati Uniti e non ha in Italia una stabile dimora. Per l'applicazione della misura cautelare nei confronti dei medici presso i quali si appoggiava Fukushima, quest'ultimo pertanto si trova nell’impossibilità oggettiva di proseguire nelle condotte illecite scoperte, facendo così venir meno i presupposti per la reiterazione del reato di concussione che gli è stato contestato.

  

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Chiedevano soldi per far saltare le liste d'attesa al Ruggi: 4 medici nei guai

SalernoToday è in caricamento