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Cronaca Scafati

Scafati, nell'omicidio Faucitano intercettazioni "segrete" per individuare i killer

C'è anche questo nei particolari dell'indagine condotta dalla Procura Antimafia sull'omicidio del pusher Armando Faucitano, ucciso con 13 colpi di pistola il 26 aprile 2016, a Scafati, in piazza "Falcone e Borsellino"

Intercettazioni nascoste e un presunto traffico di cani dalla Romania. C'è anche questo nei particolari dell'indagine condotta dalla Procura Antimafia sull'omicidio del pusher Armando Faucitano, ucciso con 13 colpi di pistola il 26 aprile 2016, a Scafati, in piazza "Falcone e Borsellino". E' quanto emerge dalle carte della Cassazione, che ha respinto l'ultimo dei tre ricorsi presentati dai tre principali indagati dell'omicidio, già destinatari di una richiesta di rinvio a giudizio

"L'infiltrato"

La vittima fu attirata sul luogo del delitto da P.R. , con la scusa di fumare uno spinello, dopo aver consumato un caffè ad un bar. Della sua presenza erano stati già allertati i killer, C.A. e M.A. Tra i moventi valutati dalla Dda, la convinzione che Faucitano fosse stato punito perchè "confidente" dei carabinieri e anche per rivelato, dopo un litigio con uno degli indagati, su di un traffico illegale di cani dalla Romania all'Italia. In realtà, l'uomo fu ucciso per non aver pagato un debito di droga di circa 700 euro. La difesa di uno dei tre indagati aveva sollevato, invece, delle irregolarità su alcune intercettazioni registrate grazie ad una persona, collaboratore, che registrò alcune conversazioni importanti per l'accusa. In particolare, su dinamica dell'omicidio. L'uomo, dopo aver riferito dei primi elementi agli inquirenti, fu mandato a parlare con uno degli indagati, registrandolo a sua insaputa.

Il ricorso

La difesa aveva mosso una violazione sull'acquisizione di quelle intercettazioni, respinte però dalla Cassazione. Otto sono le persone indagate nell'intera inchiesta, tra i quali fiancheggiatori e complici con ruoli minori. Altro motivo di ricorso respinto riguardava C.A. , resosi irreperibile dopo l'omicidio. Per la difesa, l’indagato non era raggiungibile da alcuno, neanche dai familiari. Aveva cambiato telefono e scheda, «per l’esigenza di coltivare numerose relazioni extraconiugali e per l’abitudine di cambiare spesso schede telefoniche». Motivazione respinta dalla Suprema Corte, che ha invece spiegato come l'irreperibilità rientrasse in quei comportamenti "mafiosi", specificando anche gli atteggiamenti omertosi assunti dai testimoni».

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