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Il ragazzo invisibile e la magia del cinema: a Giffoni Gabriele Salvatores

Il Premio Oscar Ha ricordato con emozione anche l’amico Paolo Villaggio: “Era un grande attore comico perché aveva innato il senso tragico della vita”

Toccati i 35 anni di filmografia, Gabriele Salvatores affronta i temi che l’hanno accompagnato per decenni e lo fa in modo nuovo. Il disagio giovanile, l’amicizia virile segnata da fragilità, il rifiuto del mondo e della società, il bisogno d’evasione, l’aspirazione all’avventura e alla bellezza danno vita a “Il ragazzo invisibile” (2014), il cui sequel è in lavorazione. “Uscirà all’inizio di gennaio – annuncia – ci saranno tante iniziative parallele, tanti disegnatori italiani, il secondo capitolo del libro, l’abbandono apparente al racconto per puntare soprattutto sul coinvolgimento emotivo”. Nel secondo capitolo (“Il ragazzo invisibile: fratelli”)  ritroveremo al centro dell’azione il protagonista Michele (Ludovico Girardello) ormai cresciuto, mentre al suo fianco compare la sorella gemella, la misteriosa Natasha.

Ludovico Girardello ha 16 anni. “E’ cresciuto, il nostro protagonista ha passato la linea d’ombra – dice Salvatores – è passato dal prato al bosco e quando ritorna al sole, nel prato, a giocare con i suoi amici, ha un approccio diverso, è cambiato, è quasi un uomo. Farà i conti con una sorellina infiammabile e con due mamme, la biologica e l’adottiva. Il nostro protagonista adesso è più dark”. Girardello lo ascolta, sorride, poi spiega il cambiamento totale: “Gabriele Salvatores è stato il mio secondo regista. Il primo, invece, mia sorella. Mi è rimasto il divertimento, ma adesso l’approccio è diverso. Nel primo film dicevo “andiamo a giocare”. Adesso ho preso consapevolezza”. Cosa c’è dietro Il ragazzo invisibile: fratelli? “Un lavoro d’equipe – dice Salvatores, che tocca ormai il traguardo, anzi trampolino, come dice lui, dei 35 anni di filmografia – stiamo completando la post produzione, ci sono oltre 650 interventi nel computer. L’idea è venuta a Nicola Giuliano, produttore. Ha 4 figli e i suoi ragazzi gli hanno chiesto di realizzare film da vedere insieme al cinema. Speriamo di averli accontentati”. Elegante, conciliante, innamorato di Giffoni e del Giffoni, Salvatores risponde con sobrietà anche quando gli chiedono cosa rappresenti per lui il Premio Oscar. Ci scherza su, sceglie la strada della modestia: “Passatemi il francesismo: è stato una gran botta di c..o, perché c’erano tanti altri ottimi lavori in concorso. E’ stato una specie di superpotere che mi hanno regalato”.

Cos’è, invece, il cinema? “Una magia – risponde – ma anche una cosa tremendamente seria. Noi usiamo una parola brutta: recitare. Gli inglesi, invece, ne usano un’altra che ha a che fare con la sfera del gioco. Il cinema è un gioco divertente e serio nello stesso tempo. I bambini dicono: giochiamo, facciamo che io ero il cowboy e tu l’indiano. In quel preciso istante, credono davvero di essere cowboy e indiano, dunque lo diventano realmente, sono senza sovrastrutture”. Invitato a parlare de “Il ragazzo invisibile”, Salvatores rivolge un pensiero affettuoso anche all’indimenticato Paolo Villaggio. L’assist arriva dalla proiezione del film “Denti”, in sala De Sica. “Denti è l’unico film che ha avuto qualche problemino in sala col pubblico ma anche quello al quale sono molto legato. E’ un film di ricerca e che mi fa commuovere, perché c’era un grandissimo attore, l’amico Paolo Villaggio. Era un grande attore comico, perché aveva un senso tragico della vita”.
 

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