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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca Nocera Superiore

Commercio di carburante: blitz della Finanza a Nocera Superiore, sequestro per 10 milioni di euro

I reati contestati sono bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale. Sono stati sequestrati anche beni immobili posseduti attraverso una società estera. Sequestro a carico degli amministratori di fatto e di diritto e dei membri del collegio sindacale di una società dichiarata fallita nel 2016

I finanzieri del Comando provinciale di Salerno, su delega della Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, diretta dal Procuratore Capo Antonio Centore, hanno effettuato un sequestro preventivo di beni per oltre 10 milioni di euro a carico degli amministratori di fatto e di diritto e dei membri del collegio sindacale di una società di Nocera Superiore, dichiarata fallita nel 2016. L'azienda operava nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi. 

Il video del blitz

 Le indagini

Sono coinvolte sette persone, indagate a vario titolo per bancarotta fraudolenta e reati tributari (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, omesso versamento dell’I.V.A. ed emissione ed utilizzo di fatture false). Le indagini, affidate al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Salerno e coordinate dai Sostituti Procuratori della Repubblica Davide Palmieri e Angelo Rubano, traggono origine proprio dalla procedura fallimentare della società e sono state indirizzate a far luce sulle cause che avevano determinato l'erosione del patrimonio societario. Sono stati accertati a carico degli amministratori della società fallita, i quali agivano in concorso con gli organi di controllo, diverse condotte distrattive negli anni dal 2011 al 2015, tra le quali la rilevazione in contabilità di costi inesistenti, di debiti tributari notevolmente inferiori a quelli effettivi, il versamento di caparre confirmatorie spropositate oer 600mila euro, oltre la metà del prezzo concordato, per l'acquisto di terreni poi non concretizzatisi, determinando il conseguente depauperamento del patrimonio netto, per un importo superiore ai 12,5 milioni di euro, oltre che un'esposizione in bilancio di dati contabili non corrispondenti al vero. Tutto sarebbe stato poi finalizzato al mancato pagamento di imposte per oltre 3 milioni di euro. Gli inquirenti ritengono che tutto ciò sia stato reso possibile anche a causa delle responsabilità contestate ai membri del collegio sindacale, i quali, pur essendo a conoscenza dei fatti, si sono astenuti dal porre in essere ogni efficace azione di vigilanza e controllo sulle modalità di amministrazione della società. Sono state, inoltre, rilevate alcune operazioni effettuate a vantaggio di un'altra società costituita dall'amministratore di fatto dell'azienda montorata e poi subentrata nella gestione dell'attività commerciale. Dopo i controlli incrociati, è emersa una frode all’IVA. Le due società condividevano uffici e impianti e tra le società vi era un passaggio solo cartaceo della merce comprata e venduta. Il carburante era stato in precedenza acquistato dalla società fallita in esenzione d'imposta, dichiarandosi “esportatore abituale” pur in assenza dei requisiti prescritti per beneficiare di tale procedura di agevolazione. Il rilevante debito IVA della società in fallimento originato da tutte queste operazioni commerciali, pari a circa 4 milioni di euro nel solo 2014, anche se formalmente riportato nella dichiarazione fiscale, non veniva infine versato nelle casse dell'Erario. 

La decisione


Alla luce delle risultanze investigative, il G.I.P. del Tribunale di Nocera Inferiore, Daniela De Nicola, condividendo l'impianto accusatorio dei Pubblici Ministeri, ha emesso nei confronti degli indagati misure cautelari reali per un ammontare di oltre 10 milioni di euro, pari al valore dei beni distratti con la bancarotta e dell’I.V.A. evasa. Sono stati sequestrati depositi bancari, quote societarie, veicoli e proprietà immobiliari. Tra queste ultime, anche un fabbricato costituito da diverse unità immobiliari, ubicato nel Comune di Castel San Giorgio, del valore stimato di circa 3 milioni di euro, riconducibile all'amministratore di fatto della società fallita ma schermato mediante la formale intestazione ad una società inglese in realtà inattiva. Gli stessi immobili, in parte in uso a familiari, erano di fatto gestiti dallo stesso imprenditore, che ne curava la manutenzione e sottoscriveva contratti di locazione, riconoscendo all'impresa britannica solo una parte degli introiti percepiti. 
 

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