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Cronaca

"La Tv Invadente": il nuovo libro della salernitana Anna Bisogno, l'intervista

Docente all'Università degli Studi di Roma Tre, giornalista, esperta di comunicazione ed uffici stampa, ma anche opinion leader sui social, la salernitana Anna Bisogno è l'autrice di un interessante libro: "La Tv Invadente"

Da anni porta alto il nome di Salerno. E continua a farlo lanciandosi in sempre nuove avventure culturali. Docente all'Università degli Studi di Roma Tre, giornalista, esperta di comunicazione ed uffici stampa, ma anche opinion leader sui social, la salernitana Anna Bisogno è l'autrice di un interessante libro: "La Tv Invadente" (Carocci Editore). Riflettori puntati su la tv del dolore, sbarcata in Italia 30 anni fa: da Vermicino ad Avetrana, Anna Bisogno ricostruisce le narrazioni che "dilatano l'oggetto esplorato, abusano del diritto di cronaca, trasformando il dolore in reality". A dire di più a Salernotoday.it, è proprio l'autrice.

Anna, come è nata l'idea di scrivere questo testo?

Si tratta di un progetto di ricerca maturato con l’omicidio di Sarah Scazzi. Fui colpita dalla morbosità con cui l’informazione in generale si concentrò su questo caso e anche la modalità con cui approcciò a quella storia. All’improvviso vennero fuori figure professionali rimaste più o meno nell’ombra fino a quel momento come, ad esempio, quella del criminologo. Anche la partecipazione non solo emotiva dell’opinione pubblica e degli abitanti di Avetrana trovai differente e particolare. E’ stata un’analisi piuttosto complessa dal momento che si tratta di uno studio che chiama in causa la televisione, il giornalismo, il trattamento delle notizie, l’infotainment, gli effetti dei media e lo colloca in un quadro storico che dà all’inizio della cosiddetta televisione del dolore una data e un episodio preciso: 13 giugno 1981, Alfredo Rampi, un bambino di appena sei anni, cadde in un pozzo artesiano a Vermicino.

Prendere distanza dal dolore attraverso la sua spettacolirazzazione, credi sia una reale soluzione per soffrire di meno o, paradossalmente, si tratta di una mera illusione che provoca effetti contrari, una volta "toccata" la realtà?

Serializzare il dramma significa non soltanto riproporre in continuazione un episodio di cronaca nera particolarmente doloroso, significa anche trasformare l'angoscia in un format. La serializzazione rischia di sganciare l’omicidio dalla realtà giudiziaria per immergerlo in un universo narrativo, con le sue regole, i suoi tempi. Lo spettacolo della sofferenza in tv rischia di essere solo una parodia della cognizione del dolore.

Tu parli di dolorrore: di cosa si tratta?

Il dolorrore non possiede la disperazione, l'altezza di tono, la nobiltà di gesto, le mediazione estetica che hanno sempre distinto ogni vera tragedia. Il dolore non è più sentimento, ma pretesto per raccontare altre storie, altre vite. La morte ha seppellito la morte stessa anche a Chi l’ha visto. Non c’era più una ragazzina ammazzata dallo zio, strangolata e violentata, ma c’era solo quel volto. La tv ha reso astratto quel dolore, ne ha ingigantito i dettagli, ma ne ha annullato la concretezza.

Delle storie citate nel libro, quale è stata per te più "difficile" da trattare?

Quella di Sarah. È davvero odiosa la tv che non ha permesso a una mamma straziata di cercare la compostezza dei sentimenti, non le ha dato il tempo di dominarsi, di raccapezzarsi e l’ha esposta alla insana curiosità dell’Italia, ha degradato la sua pena non solo e non tanto a tecnica spettacolare dell’evento quanto soprattutto a distrazione dall’ evento. Non più un oltraggio a tutte le ragazze del mondo, ma una moviola infinita dell’ indecenza: le rughe, i capelli, le labbra, gli occhi asciutti, una specie di autopsia in diretta, un furto d’anima.

Il libro rappresenta un unicum o ne seguiranno altri sullo stesso tema?

Continuerò ad attenzionare la tv del dolore, ma sono già al lavoro per un saggio sulla rivoluzione mancata del digitale terrestre in Italia. 

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