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Cronaca Sarno

Si impiccò in carcere, i soccorsi arrivarono in ritardo: si va a processo

Un medico e un agente penitenziario sono accusati di negligenza e imperizia. Il caso di Aniello Esposito, di Sarno, è stato riaperto dopo una prima archiviazione del giudice

Negligenza, imperizia e violazione di regolamenti di soggetti titolari di specifiche posizione di garanzia. Di questo - riporta La Città -  sono accusati un medico e un agente penitenziario per la morte di Aniello Esposito, di Sarno, morto suicida nel carcere di Secondigliano. E, precisamente, nella struttura dell’ospedale psichiatrico giudiziario dov’era ricoverato, dopo una precedente permanenza nella casa di cura Villa Chiarugi a Nocera Inferiore e presso l’Opg di Aversa.

Il dramma

Il 19 giugno 2018, mentre era rinchiuso nella quinta sezione detentiva, Esposito venne sorpreso da un assistente della struttura mentre provava a togliersi la vita con i pantaloni del pigiama usati come cappio. Fu liberato con l'aiuto di un secondo infermiere che si rese subito conto delle sue gravi condizioni. Sul posto arrivò anche il medico di guardia, che prese atto della situazione per poi tornare al piano terra, non avendo con se le attrezzature necessarie poichè allertato con un "avviso generico" tramite telefono. Dalle indagini è emerso che la morte di Esposito è stata causata da un "atto volontario mediante impiccagione". Rispetto a questa conclusione, dopo una richiesta di archiviazione e una opposizione presentata dal legale dei familiari dell’uomo, il giudice del tribunale di Napoli ha deciso per il processo in quanto, secondo gli inquirenti, "non fu prestato tempestivo e idoneo soccorso, con i soggetti tenuti e obbligati a impedire il verificarsi della morte dell'internato”. Non solo. Ma “a fronte di imminente pericolo di vita, il personale sanitario e di vigilanza penitenziaria in una struttura specializzata, con soggetti portatori di patologie psichiatriche, dopo aver inutilmente indugiato, omise di chiedere ausilio di altro personale per un idoneo trattamento salvavita”. Insomma, il defibrillatore, che avrebbe potuto salvargli la vita, arrivò troppo tardi.

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