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Cronaca Pagani

Pagani, processo "Criniera": il boss presente all'agguato e quel Caf in cambio di voti

Lunga udienza nel processo imbastito su una presunta collusione tra il clan Fezza - D'Auria e l'ex amministrazione comunale. Dall'agguato subito da un autotrasportatore alla spedizione punitiva per la gestione di un Caf in cambio di voti

"Quando spararono verso casa mia, riconobbi nella seconda persona Antonio Petrosino D'Auria". La testimonianza choc è stata resa da Francesco Oliva, autotrasportatore nel settore ortofrutta, con precedenti, sentito ieri dai giudici del tribunale di Nocera Inferiore nel processo "Criniera", nato da un'indagine su una presunta collusione tra il clan Fezza - D'Auria Petrosino a Pagani e l'amministrazione dell'ex sindaco Gambino (che per le stesse accuse, in altro processo, è stato assolto nei primi due gradi di giudizio). Oliva ha spiegato di aver riconosciuto il presunto "boss" dai tratti fisici - "capelli e corporatura", ma di non averlo detto all'epoca, quando fu sentito dall'Antimafia, per "paura". "Di lui si dicevano cose molto pesanti", ha spiegato ai giudici del collegio. La testimonianza di Oliva rientrava in quello che ipotizza la Dda: il "boss", ristretto da anni al 41 bis, avrebbe gestito attraverso un'altra persona, anch'ella imputata, la Lions group, società costituita per il trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli. Per l'accusa, Oliva fu minacciato di consegnare le sue quote societarie alla Lions. "Dopo diversi mesi subì l'attentato contro casa mia. Spararono 5 volte. Mi affacciai dal balcone e riconobbi Antonio Petrosino. Tempo prima, mi chiamò Gennaro Caldieri chiedendomi di vederci. All'incontro mi dissero che avrei dovuto cedere l'attività". Oliva è stato poi destinatario di un lungo contro esame da parte degli avvocati Silvana D'Ambrosi e Domenico Ducci, inerente circostanze e contestazioni sul riconoscimento del boss, oltre che sulle ragioni legate a quella cessione della sua attività alla Lions group

Il Caf in cambio di voti

Il tribunale ha poi sentito Giovanni Napolano, vittima di un tentativo di estorsione aggravata dal metodo mafioso da parte di Renato e Aldo Cascone, all'epoca esponenti della maggioranza dell'ex sindaco Gambino. Al centro della discussione un ufficio di patronato, inquadrata come "promessa elettorale in cambio di voti al gruppo politico di Cascone e Gambino". Napolano, insieme al fratello, era titolare del centro di assistenza fiscale situato all'interno dell'Istituzione "Pagani per tutti". Il testimone ha poi raccontato di aver subito una spedizione punitiva sempre legata alla gestione dell'attività e presso la quale si sarebbero dovuti ripartire gli utili. Al rifiuto di Napolano, seguì il pestaggio: «Mi disse che se non si faceva così mi affossava. Ti affosso, ti affosso. Vennero lì e furono spintoni e schiaffi. Mi portarono fuori e mi spinsero in un portone. Quel posto mi era stato affidato per contrastare un’altra persona sgradita al loro gruppo politico. Io ero senza parole quando arrivò la minaccia. Poi ci fu una telefonata per chiarire, ma il messaggio rimase lo stesso. O si faceva in quel modo o mi affossavano. Allora mi rivolsi ad un mio parente, Gennaro Napolano, uno della Lamia, per capire come fare. E lui mi disse che i Cascone facevano sempre così, lo avevano già fatto con altri. La stessa cosa me la dissero anche dei colleghi. La soluzione, mi disse il mio parente, che era uno rispettato, era mettersi in società con lui». Napolano ha aggiunto che quel posto rappresentava una sorta di contropartita, all'interno del Caf, per il sostegno reso in termini di voti. Il processo riprenderà tra un paio di settimane. Le accuse principali sono di associazione di stampo mafioso e diversi episodi di estorsione, aggravati dal metodo mafioso. 

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