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Cronaca Polla

"Febbre dell'oro nero" nel Vallo di Diano, in 57 rischiano il processo

Gli imputati rispondono, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere, aggravata dal metodo mafioso, finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise e Iva sugli olii minerali. E ancora, di intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita.

Processo “Febbre dell’oro nero”, in 57 rischiano il processo. Giorni fa, hanno discusso le parti delle prime sedici posizioni presso il gup del Tribunale di Potenza. L'inchiesta è stata condotta dalle Dda di Potenza e Lecce. Gli imputati rispondono, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere, aggravata dal metodo mafioso, finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise e Iva sugli olii minerali. E ancora, di intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita. Circa un terzo degli imputati è residente in provincia di Salerno. 

Le accuse

La maxi udienza preliminare riprenderà a febbraio. Dall’inchiesta era emersa la presenza nel Vallo di Diano di alcuni esponenti del clan camorristico dei Casalesi che utilizzavano il petrolio come cavallo di troia per “colonizzare” il comprensorio grazie anche alla complicità di un imprenditore del posto e di un carabiniere corrotto. Il carburante per uso agricolo, che beneficia di particolari agevolazioni fiscali, veniva venduto a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, utilizzando spesso le cosiddette "pompe bianche". Il traffico aveva portato all’organizzazione criminale circa 30 milioni di euro annui. Trenta furono gli arresti, con sequestro di immobili, aziende, depositi, flotte di autoarticolati per un valore complessivo di circa 50 milioni di euro. Buona parte delle persone coinvolte è residente in provincia di Salerno. Il Vallo di Diano, in effetti, rappresentava centro nevralgico del contrabbando di idrocarburi.
Un gruppo di Taranto forniva ai “soci” attivi nel Vallo di Diano un elenco di nomi di imprenditori agricoli che erano all’oscuro della truffa e le cui identità fiscali, nonché i libretti Uma, venivano clonati in modo che le imprese legate ai Casalesi potessero fatturare fittiziamente la vendita del carburante per uso agricolo

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