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Cronaca

San Matteo: l'amarezza di don Biagio Napoletano e il monito di Pantuliano

Il sacerdote salernitano e il segretario intervengono dopo il caos verificatosi durante la processione del Santo Patrono di Salerno

Sul caos verificatosi durante la processione di San Matteo, con le parenze che hanno violato le nuove direttive imposte dalla Curia e gli insulti piovuti addosso all'arcivescovo Moretti, interviene il vicario generale della Diocesi salernitana Don Biagio Napoletano, che prima ci tiene a ribadire come la "Chiesa di Salerno-Campagna-Acerno gioisce per la corale partecipazione del popolo di Dio alla festa del Santo Patrono, San Matteo Apostolo ed Evangelista". Poi, però, chiarisce che "non possiamo tuttavia nascondere, come comunità ecclesiale, tristezza e dispiacere per quanto accaduto durante la processione e, in particolare, per la grave profanazione della sacralità di una celebrazione religiosa. E’ evidente - dichiara - che la vera questione in gioco non è la difesa d’ufficio della persona del Vescovo, ma prendere atto di una vera e propria ferita inferta ad una Chiesa che venera intensamente i suoi Santi".

"Ci sembra opportuno ribadire - aggiunge Don Biagio Napoletano - che l’obiettivo dei reiterati incontri avvenuti nel corso dell’anno con gli amici portatori era e resta la volontà di aiutare le persone a vivere una serena e gioiosa esperienza di fede nell’autenticità della tradizione cristiana, animando il tragitto con preghiere dedicate alle diverse componenti della società. Un vivo ringraziamento va a quanti hanno accolto e sostenuto questa proposta pastorale, tra cui è giusto citare la Guardia di Finanza che ha mostrato fin dall’inizio leale collaborazione. Comprendo, d’altro canto, il rammarico e la delusione del nostro Pastore nei confronti di quanti hanno tradito gli impegni assunti a più riprese, stravolgendo pretestuosamente le modalità concordate e trasformando un momento itinerante di preghiera in uno spettacolo irriverente dal punto di vista umano e spirituale". Poi la conclusione: "Tutto ciò, se da un lato non può che essere condannato, dall’altro deve necessariamente essere motivo per aprirsi ad una prospettiva di riconciliazione nella verità e di impegno formativo di carattere religioso per il futuro. Siamo pronti a ricominciare insieme un cammino che aiuti  tutti a vivere la bellezza dell’essere cristiani e a fare della venerazione dei Santi una concreta occasione di crescita personale".

Una riflessione all’indomani della Processione di San Matteo, arriva anche da Giuseppe Pantuliano, Segretario Consulta Aggregazioni Laicali: "Fischi, urla, epiteti senza sconti, offese, intimidazioni, impegni disonorati, leggerezza, arroganza, strumentalizzazioni mediatiche: questi gli ingredienti che hanno reso terribilmente vivace ed eloquente quella che doveva essere una semplice manifestazione della fede. Sì, perché - non bisogna dimenticarlo - una processione è a tutti gli effetti un rito liturgico, un evento sacramentale, una manifestazione pubblica della fede, la narrazione di una vita che celebra il legame creaturale con Dio e l’adesione (personale e comunitaria) al credo cristiano. E, invece, sono venute a mancare proprio le coordinate religiose. Di fronte allo spettacolo indecoroso offerto da taluni partecipantidurante la solenne processione di San Matteo c’è da porsi una domanda chiara e inequivocabile: cosa si segue, un santo o una statua? Se si segue il santo, ci si lascia contagiare dalla sua vita esemplare radicata nel vangelo; se si segue una statua, si corre il rischio di collocarsi inevitabilmente in una prospettiva pagana che nulla ha a che vedere con la fede cristiana. Solo a partire da questa confusione si possono generare atteggiamenti e comportamenti distonici con lo spirito cristiano e distanti anni luce da un autentico senso religioso", ha osservato.

Secondo il Segretario, "rispetto a certe cadute di tono, talvolta ai limiti della legalità, va espresso senza esitazione il proprio disappunto, la propria amarezza e, con coraggio profetico, la propria contrarietà. Non ci si può nascondere dietro un silenzio complice. Una fede pienamente vissuta, infatti, tende sempre atrovare motivi per riconciliarsi con le persone ma difficilmente può armonizzarsi, confondersi o scendere a  compromessi con prassi che derivano da forme di sincretismo magico-religioso e di ritualismo bigotto prive di spessore ecclesiale e spirituale. Tolto il contenuto a un recipiente, rimane un contenitore traboccante di sola vacuità. La comunità credente deve seriamente interrogarsi su fenomeni del genere, per anni superficialmente avallati, e rigenerarsi ad una fede sempre più evangelicamente fondata, aiutando se stessa a ritrovare una pienezza di ecclesialità e offrendo ilproprio contributo affinché la comunità civile possa riscoprire nel suoinsieme quei sacrosanti valori etici che fondano la convivenza sociale - continua- Mi chiedo, allora, se in questa circostanza ci sia stata solo una mancata manifestazione della fede o   forse anche e specialmente un difetto di senso civico. Mi sembra quanto mai opportuno considerare,a tal proposito, le parole di Papa Francesco, pronunciate durante la sua visita in Albania, ma quanto  mai illuminanti per una situazione critica come la nostra, che dobbiamo tuttavia saper trasformare in  una grande opportunità di crescita umana e spirituale. Il Pontefice afferma con decisione che nessuno  deve «farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione». Parafrasandolo, - sottolinea - possiamo dire che nessuno deve farsi scudo di statue sacre per osannare la propria prepotenza. E’violenza, sebbene psicologica, fischiare come allo stadio, minacciare, non rispettare le indicazioni di chi ha competenza in materia liturgica. Le nostre statue possono rifulgere di argento, avere addobbi preziosi, ma non sono nulla senza la luce di quello Spirito della Vita che alberga nella coscienza dell’uomo e anima la suafede. Se dietro il simulacro non c’è più l’immagine vera del Dio trinitario, quello adorato da San Matteo, tutto si riduce drammaticamente a pura apparenza,a desolante vanità, a sottile potere autoreferenziale  e autocelebrativo". 

Pantuliano precisa, poi come non serva "invocare una presunta sovranità del popolo. Anche Israele, ricordo a tutti,abdicò al suo Signore per adorare un vitello d’oro. L’idolatria è profondamente contraria alla fede e non si può far finta di niente quando vengono tradite le istanze di fondo che dovrebbero muovere la sua testimonianza pubblica, come nel caso di una processione. Parlo di una fede costruttivamente dialogante, che non può però prescindere da una precisa identità. E questa identità, “cristiana”, deve dettare i criteri cui ispirarsi nel celebrare i sacramenti. Un’identità da anni profanata, vilipesa, non rispettata da una impropria commistione di sacro e profano, difesa in nome di una non ben identificata tradizione. Ma quale tradizione? E quale popolo? Quello credente o quello miscredente che vuole assoggettare alle proprie “credenze” e prassi i valori alti del Vangelo, che invoca una tradizione ordinariamente ignorata e disertata. Perché invece di prestare morbosa attenzione agli schiamazzi dei facinorosi, non si ascoltano i sentimenti di tanta gente che sta alla larga dai clamori di qualsiasi tipo? Perché non si guardano i volti di tanti fedeli e di tanti ammalati che hanno versato lacrime per questo scempio da mercanti nel tempio. C’è solo un popolo legittimato a pronunciarsi in materia di processioni: è quello che sente di appartenere vitalmente e responsabilmente alla Chiesa di Cristo Gesù, che vive ogni giorno nella preghiera e nella misericordia, che rispetta i suoi Pastori come ministri di Dio, che semmai esprime il dissenso nei modi civili che si confanno ad uno stile realmente evangelico", ha concluso, invitando tutti ad accogliere la misericordia e la costruzione di una comunità unita.

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