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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Sequestrati 680 mila prodotti cinesi pericolosi, controlli anche nel salernitano: 31 denunce

La merce ha un valore commerciale di circa 10 milioni di euro. Denunce per prodotti contraffatti, frode in commercio, apposizione di segni industriali mendaci, ricettazione, distribuzione di prodotti pericolosi privi delle certificazioni di conformità

La Guardia di Finanza di Treviso ha sequestrato 682.722 prodotti pericolosi di fabbricazione cinese, per un valore commerciale di 10 milioni di euro, in un'operazione che ha portato anche alla denuncia di 31 persone di varia nazionalità. I reati contestati - riportano i colleghi di Trevisotoday - sono introduzione nello Stato di prodotti contraffatti, frode in commercio, apposizione di segni industriali mendaci, ricettazione, distribuzione di prodotti pericolosi privi delle certificazioni di conformità e delle garanzie per la sicurezza dei consumatori.  I controlli sono scattati in diverse aziende anche della provincia di Salerno. 

I controlli alle frontiere

Le fiamme gialle della Compagnia di Treviso hanno svolto negli ultimi mesi controlli mirati (anche notturni) ai caselli autostradali di Mogliano Veneto/Venezia Este Roncade/Meolo. Per comprendere l’importanza di questi due snodi autostradali, è sufficiente ricordare che ogni anno vi transitano oltre 5 milioni di veicoli, di cui il 10% circa sono autoarticolati provenienti dalla cosiddetta “rotta balcanica”. Quello che ormai è diventato un flusso ininterrotto di merci illegali ha il suo punto di approdo in Europa nei porti di Capodistria (Slovenia) e del Pireo (Grecia), dove giungono via mare quantità sterminate di prodotti, realizzati in Cina, contraffatti o privi delle dichiarazioni UE di conformità. I carichi, destinati al mercato italiano, vengono sdoganati sistematicamente (seguendo un percorso apparentemente contrario a ogni criterio di economicità, che ha il solo fine di evitare i controlli doganali da parte delle Autorità italiane) in alcuni Paesi dell’Est Europa (principalmente l’Ungheria), dove hanno sede gli “importatori comunitari”, in realtà mere società di comodo, di nuova costituzione, prive di dipendenti e strutture aziendali.
 

La frode smascherata dalla Finanza 

Il valore di acquisto di ciascun “carico”, dichiarato in dogana, oscilla tra i 10.000 e i 40.000 euro, a fronte di un valore commerciale reale compreso tra 1 e 1,5 milioni di euro. Successivamente le merci, prive del marchio CE o marchiate con il logo comunitario contraffatto (spesso sfruttando l’equivoco derivante dalla somiglianza con la sigla analoga che simboleggiail “China Export”), sono introdotte illegalmente in Italia, da parte di aziende di trasporto estere, attraverso i valichi di confine con la Slovenia delle province di Trieste, Udine e Gorizia, a bordo di container o addirittura ricorrendo a camion frigo o anonimi telonati, per tentare di evitare i controlli lungo il percorso. All’interno dei mezzi, gli articoli sono stoccati in modo tale da rendere pressoché impossibile ogni forma di controllo su strada agli operatori di polizia, atteso che per svolgere una verifica puntuale occorre scaricare manualmente la merce in aree attrezzate per le successive operazioni di inventario. Quando ciò avviene, il controllo si conclude, nella quasi totalità dei casi, con la constatazione di irregolarità nella documentazione di sdoganamento (in cui le merci sono descritte genericamente e richiamando quantità e tipologie di articoli differenti da quelli effettivamente trasportati) e in quella di trasporto, in cui spesso vengono indicati destinatari inesistenti.

In realtà, i prodotti sono destinati ad essere commercializzati in tutto il territorio nazionale nei cosiddetti “China Market” (da qui il nome dell’operazione), tant’è che la Guardia di Finanza di Treviso, su delega della Procura della Repubblica, ha perquisito le sedi di diverse aziende nelle province di Roma, Napoli, Salerno, Bari e Taranto. Gran parte delle società coinvolte nel meccanismo di frode, peraltro, vengono gestite –spesso tramite prestanome –in maniera tale da essere “operative” per un periodo di tempo limitato, per poi sparire sottraendosi al pagamento delle imposte e facendo rientrare i profitti ottenuti, tramite canali non ufficiali, nei Paesi di origine.L’operazione conclusa dalla Guardia di Finanza di Treviso è stata dunque finalizzata a tutelare gli interessi sia dello Stato che dei consumatori e degli operatori economici onesti, evitando l’immissione nel mercato italiano di merci pericolose e non conformi alle normative nazionali e comunitarie e la sottrazione di risorse finanziarie alla collettività.

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