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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Reggae per il Sound System di LampaDread al Dum Dum Republic

“È un’emozione sapere che esiste un posto diverso come il Dum Dum, con una sua visione – racconta LampaDread – La prima volta che sono venuto a suonare qui sono impazzito, mi sono riconosciuto"

Reggae per rivendicare le radici, la musica come linguaggio universale: è l’icona della cultura del sound system in Italia, appuntamento ormai cult al Dum Dum Republic di Paestum. Live, in consolle, protagonista dell’arena sul mare dopo aver attraversato il mondo, calcando palchi tra cui il Rototom, il festival reggae internazionale, domenica 20 giugno start ore 17. “È un’emozione sapere che esiste un posto diverso come il Dum Dum, con una sua visione – racconta LampaDread – La prima volta che sono venuto a suonare qui sono impazzito, mi sono riconosciuto. Il Cilento è una magia”. Al Dum Dum Republic il sound system diventa così arma di resistenza sonora e di diffusione culturale. Reggae come condivisione, vicinanza e identificazione, oltre i confini, per creare un “luogo in cui realmente un altro mondo è possibile”. Un messaggio di libertà nato nei Caraibi dalla sofferenza della schiavitù, con un’eco mondiale, fino ad allargarsi e coinvolgere bianchi e neri, senza discriminazioni, oppressi dalle barriere mentali.

Un legame sempre più forte e viscerale con il Dum Dum Republic, in quella che nel “territorio campano è una piccola isola felice, lontana dalle logiche del contesto mainstream commerciale. Per me, che provengo dall’underground, aperto però a tutto il panorama musicale, è un luogo fondamentale. Il pubblico del Dum Dum è abituato ad attraversare generi, dalla world music alla cumbia, dal reggae all’electro house, ma sempre in uno stile inedito, sempre originale, proiettato alla ricerca musicale”. Globetrotter, perennemente in giro per il mondo, vivendo tra Roma e la Giamaica, negli ultimi anni ha deciso di rivendicare le sue origini, tornando a sud, in Cilento a Felitto perché “il legame con la propria terra significa identità. Sono nato in Svizzera da genitori emigrati, a 3 anni sono rientrato in Italia, poi Roma, anni trascorsi in Giamaica e in Germania, ed infine l’esigenza naturale di ritornare. Non mi sta stretta Felitto, anche se è una terra difficile. Sono cresciuto nel contesto dei centri sociali, anzi li ho partoriti. Adesso ho creato un’associazione culturale qui a sud per fare musica e arte. Ci sono piccoli focolai di resistenza e questo fa sperare bene. Ho vissuto le periferie urbane, piene di monnezza e di disagi, anche se oggi l’Italia vive l’esasperazione del colore della pelle. Un periodo complicato. Il Cilento è una delle 10 biosfere in Italia protette dall’Unesco, abbiamo ricchezze incredibile e il Dum Dum ne è un esempio positivo”.

Pioniere del reggae italiano, ha fondato il primo sound system di Roma, il One Love Hi Pawa. Con i suoi lunghi capelli dread attorcigliati sulla testa da 30 aanni è considerato l’ambasciatore della musica in levare in Italia, una delle figure più apprezzate dello scenario reggae in ambito nazionale ed internazionale. Definisce la musica giamaicana “una malattia”. Per lui “respect” da tutti, anche dagli artisti giamaicani, dove ha vissuto gran parte della sua vita. Durante gli anni ’80 inizia a condurre uno dei primi programmi radio della capitale dedicati al reggae, ma è alla fine del decennio che diventa famoso quando nasce il format radiofonico “Daje Pure Te”, ancora oggi in onda sulle frequenze di Radio Onda Rossa. Poi, nel 1991, la nascita di One Love Hi-Pawa: “un’esigenza naturale”, per Lampa Dread, influenzato dal background punk e dal primo revival ska, cresciuto ascoltando rock, tra Sex Pistols e Clash, e poi la conoscenza della cultura giamaicana, da Bob Marley al mainstream. Soprattutto la grande passione per la musica nera, il soul e l’R’n’B: “Il reggae è il soul, il rock’n’roll giamaicano. Bob Marley canta gospel quando predica. Il sound rasta è gospel giamaicano – sottolinea LampaDread - Come si fa a spiegare la passione per la musica? Come nasce? E’ come quando ami qualcuno. La musica deve essere condivisa: temi universali come il razzismo, la violenza sulle donne non hanno confini. Dal 1980 ho condiviso radio e sound system per dare voce a chi non ne ha. La musica è un veicolo per parlare di vita, per far riflettere anche mentre ci si diverte”.  
 

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