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Cronaca Scafati

"Il sindaco Aliberti aveva piacere del nostro supporto", le accuse del pentito in aula

Dall'incontro voluto con Aliberti al pestaggio dell'ex consigliere comunale Barchiesi. Il collaboratore Alfonso Loreto sentito nel processo "Sarastra", parla delle elezioni comunali e regionali, accusando gli Aliberti

«Decidemmo di appoggiare il sindaco Pasquale Aliberti perchè volevamo entrare negli appalti pubblici. Mi dissero che lui aveva piacere delle nostre intenzioni». Sono le parole del collaboratore di giustizia Alfonso Loreto, figlio del boss Pasquale, sentito ieri mattina nel processo «Sarastra», che vede imputati l’ex sindaco di Scafati, il fratello Nello, la moglie e consigliere regionale Monica Paolino, insieme ad altri, per scambio elettorale politico-mafioso.

La testimonianza

Collegato in video conferenza, il collaboratore ha risposto alle tante domande del pubblico ministero Antimafia, Vincenzo Montemurro. Cominciando dal perchè decise di collaborare con la giustizia: "Il motivo era perchè volevo cambiare vita - ha esordito Loreto jr - , anche se in quel momento non avevo ancora nessuna condanna. Nel clan entrai nel 2003-2004, insieme a Gennaro e Luigi Ridosso (già condannati in abbreviato). Eravamo un clan e una famiglia forte, ci occupavamo di estorsioni, di usura, e di appalti privati presso industrie conserviere. Ma volevamo estenderci anche nel settore degli appalti pubblici».

L'incontro con il sindaco Aliberti

«Dopo una riunione a casa mia, perchè ero ai domiciliari, decidemmo di supportare Aliberti per le votazioni. Furono Raffaele Lupo (ex consigliere, ndr) e Andrea Ridosso ad andare a trovarlo, esponendo al sindaco le nostre intenzioni. Mi fu riferito che Aliberti aveva piacere del nostro appoggio. Però ci consigliò che non potevamo candidare Andrea Ridosso, che invece aveva volontà di entrare in politica. Mi dispiacque per lui, ma disse che il suo nome era "pesante". Serviva una persona pulita. Così scegliemmo Roberto Barchiesi, candidato nella lista "Grande Scafati"».

Le "promesse" mancate

«Ad Andrea Ridosso fu promessa una sistemazione da qualche parte. Ma Aliberti gli disse che doveva staccarsi dalla famiglia, poi lui lo avrebbe fatto crescere. In seguito fu assunto al Piano di Zona. Per avere appalti ci fu consigliato dal sindaco di aprire una ditta fuori provincia ed intestarla ad un prestanome. Quella ditta era la "Italy Service". Ci fu promessa la gestione dei lotti della ex Copmes». Sulla campagna elettorale: «Barchiesi risultò il più votato. Era Luigi Ridosso a fare porta a porta, facendo campagna elettorale e raccogliendo voti. Molti li abbiamo comprati, dando soldi alle famiglie che avevano bisogno. In Via Martiri d'Ungheria collezionammo tante preferenze». Ma dopo l'elezione del sindaco, qualcosa - secondo il racconto del pentito - qualcosa non sarebbe andato nel verso giusto. «Decidemmo di aspettare che fosse lui a fare la prima mossa per gli appalti, ma vedevamo che quei lotti non si sviluppavano. Ce la prendemmo con Barchiesi, gli dicemmo che non sapeva farsi rispettare. Usammo modi bruschi con lui, obbligandolo a dimettersi. Lo picchiammo fuori ad un bar. Dopo, Aliberti gli pregò di non dimettersi, perchè aveva problemi in maggioranza e Barchiesi gli disse di rispettare gli accordi. Ci fu promesso l'appalto per il verde pubblico». Su Ciro Petrucci, altro imputato: «Era il nostro uomo all’Acse, gli dicemmo di non fare l’errore di Barchiesi. Il nostro modus operandi era questo: non volevamo intimidire le vittime, facevamo i padroni ma offrivamo anche un servizio. Per questo non incendiammo il camper del sindaco. Mio padre (Pasquale) ci disse che avremmo attirato l’attenzione. Aliberti era supportato dal clan Sorrentino. Quell’attentato doveva dimostrare che eravamo noi i più forti». Sulle Regionali 2015: «Appoggiamo Monica Paolino ma non eravamo molto convinti. Assecondammo Luigi Ridosso, non volevamo far vedere che il clan fosse diviso. Anche per lei abbiamo organizzato cene e incontri». Sul fratello del sindaco: «Volevamo offrire servizi all’Igiene Urbana. Ricordo che Nello Aliberti ci fece aspettare e poi ci disse che servivano dei requisiti. Lo minacciammo di morte se non faceva come chiesto. Eravamo armati». Il contro esame di Alfonso Loreto proseguirà il prossimo 10 aprile.

La testimonianza di Coppola

Prima della deposizione di Alfonso Loreto, il tribunale ha ascoltato la testimonianza di Pasquale Coppola, ex presidente del consiglio comunale a Scafati, imputato in un procedimento connesso, già sentito dall'Antimafia durante la fase delle indagini: "Da tempo sono vittima di angherie e attacchi - ha esordito Coppola - voglio solo essere lasciato in pace". L'ex politico ha negato di aver mai dato soldi a Dario Spinelli, altro collaboratore di giustizia, per la sua campagna elettorale, aggiungendo poi di aver rifiutato un aiuto dallo stesso clan, che avrebbe diviso i voti per le regionali. "Provai a divincolarmi, sono una persona perbene e non potevo offrire niente, non contavo nulla al Comune. Alfonso Loreto mi incoraggiò a continuare, invece. La mia candidatura era solo per fare un piacere a degli amici. Da lì iniziarono i miei problemi con la maggioranza, quando fui cacciato". A margine della sua testimonianza, anche l'ex sindaco Pasquale Aliberti ha rilasciato spontanee dichiarazioni, precisando su molti degli argomenti affrontati da Coppola. 

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