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Angri, agguato di fuoco all'imprenditore: i due indagati vanno in Cassazione

Liguori e Manzella, secondo le accuse dell'Antimafia, eseguirono un raid armato contro l’imprenditore delle cooperative di pulizie

Si svolgerà giovedì l’udienza in Cassazione per le misure cautelari di Alfonso Manzella e Nicola Liguori, sotto accusa per il tentato omicidio di Domenico Chiavazzo, finiti entrambi in carcere a giugno scorso dopo un’indagine lampo svolta dai carabinieri col coordinamento della procura antimafia di Salerno.

L'indagine

Liguori e Manzella, secondo le accuse dell'Antimafia, eseguirono un raid armato contro l’imprenditore delle cooperative di pulizie, con il carcere disposto in prima battuta con la formula del fermo di indiziato di delitto, superata da una prima ordinanza che escludeva il metodo mafioso, emessa dal gip di Nocera Inferiore e da una successiva firmata dal gip di Salerno, confermata dal Tribunale del Riesame. Finora i giudici hanno avvalorato metodo di camorra, riconoscendo la matrice dell’agguato del tutto in linea con i crismi tipici della criminalità organizzata, con l’esecuzione tipica, nei territori campani, a dinamiche di impronta camorristica. L’agguato scattò alla fine dello scorso maggio e fallì solo per circostanze fortuite, con la reazione di Chiavazzo a salvargli la vita: i due  erano in sella ad una moto di grossa cilindrata, mentre lui guidava un’auto sportiva. I due paganesi, secondo le ricostruzioni, avevano tentato la classica esecuzione di camorra, arrivando a bordo della moto sul luogo del delitto, indossando un casco integrale per non farsi riconoscere, piombarono sulla vittima sparandogli lungo la strada, ad orario di prima sera, in pieno centro, davanti a numerosi potenziali testi: nel frangente scelto per l’agguato gli esecutori «non avevano pietà né ritrosia», scrisse il Riesame, agendo espressamente per cagionare la morte di Chiavazzo, titolare di società cooperative di pulizie e sanificazione molto attive sul mercato. Dopo aver sparato contro l’uomo, entrambi fuggirono perché la vittima aveva avuto l’abilità e la fortuna di provocarne la caduta dalla moto, nonostante fosse stato attinto dai primi colpi. I difensori dei due, Vincenzo Calabrese e Giuseppe Della Monica, ora hanno presentato ricorso in Cassazione

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