rotate-mobile
Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca Scafati

Famiglia di usurai arrestata a Scafati: ecco come agiva

Nel mirino della banda criminale, al vertice della quale c'era la moglie del defunto boss Antonino Porpora, sono finite numerose persone che hanno trovato il coraggio di sporgere denuncia

Questa mattina gli agenti della Polizia di Stato insieme ai colleghi della Polizia locale e della Guardia di Finanza della Procura di Nocera Inferiore hanno arrestato sei persone finite in un’inchiesta denominata “Get a Money”. In manette sono finite tre donne E.D.M residente in via De Gasperi a Scafati; G.N, residente in Piazza Trieste e Trento (Scafati); M.N P, nata a Torre Annunziata ma residente in via Martiri d’Ungheria (Scafati). Con loro anche tre uomini sempre di Scafati: R.P, nato a Torre Annunziata, residente in via De Gasperi ma di fatto domiciliato in Piazza Trieste e Trento; F.R.C, nato a Napoli ma residente in via De Gasperi; e D.A, residente in traversa Falanga. Sono accusati, in concorso tra loro, di usura ed estorsione. E’ stata sottoposta all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria un’altra donna, A.D.L, nata a Torre Annunziata ma residente a Scafati. Complessivamente sono stati sequestrati per equivalente beni mobili ed immobili (autovetture, gioielli e conti correnti) per un valore pari a 120 mila euro.

I dettagli

L’indagine nasce da una denuncia presentata lo scorso 22 giugno da una persona che ha raccontato alla Procura di essere ormai da alcuni anni sottoposto ad usura da parte della signora E.D M e che nell’ultimo periodo, non riuscendo ad onorare il pagamento degli interessi usurari alle scadenze fissate, era stato minacciato più volte dal figlio della donna, R. P. E, proprio durante la sua testimonianza, l’uomo ha ricevuto alcune telefonate, provenienti dall’utenza telefonica del figlio della donna, nel corso delle quali quest’ultimo, con tono intimidatorio, faceva pressanti richieste per il pagamento delle somme di denaro fornendo anche indicazioni dei luoghi dove si sarebbe svolta la consegna dei soldi. Queste telefonate sono state registrate dalla vittima attraverso il suo telefonino e i relativi file audio sono stati subito esaminati dagli inquirenti che, in poco tempo, hanno organizzato un servizio di appostamento terminato con l’arresto di R.P ed il sequestro della somma di denaro pari a 200 euro.

Dopo l’arresto di quest’ultimo sono aumentate le denunce, da parte di altre persone, contro gli indagati. “Ciò a dimostrazione – si legge nel comunicato della Procura – che R. P, tossicodipendente e di indole violenta ed aggressiva, induceva nelle vittime uno stato di terrore e di soggezione psicologica, di fatto costringendole a pagare gli interessi pattuiti per timore di inevitabili ritorsioni”. Quindi, venuto meno il pericolo rappresentato da R.P, altre persone hanno trovato il coraggio di presentarsi agli inquirenti e di sporgere denuncia. Alcune di loro, così come aveva fatto il primo denunciante, hanno proceduto di loro iniziativa a registrare le conversazioni con gli urusrai consegnandole agli investigatori all’atto della denuncia o nei giorni successivi.

I ruoli

A capo della banda c’era la signora E.D.M, che utilizzava il figlio R.P per minacciare le vittime di usura tutte le volte che omettevano o semplicemente ritardavano il pagamento degli interessi usurari, sfruttando la sua indole violenta derivante dal suo stato di tossicodipendenza; la donna, inoltre, annotava i nominativi delle vittime, gli interessi pattuiti e le rispettive scadenze su una agenda e custodiva il denaro in una cassaforte nascosta. Un altro figlio della donna, F.C le sue iniziali, oltre ad essere perfettamente a conoscenza dell’attività illegale svolta dalla madre e dal fratellastro, R.P, collaborava attivamente con loro depositando le somme provento di usura su libretti di deposito e/o conti correnti intestati a lui stesso (in quanto incensurato) e di prelevare di volta in volta in contanti, su diretta indicazione della madre, le cifre da consegnare alle vittime; la madre, durante la consegna dei soldi, comunicava di essere la moglie del defunto boss Antonino Porpora per intimorirle.

Dopo l’arresto del figlio la donna ha chiamato le vittime presso l’abitazione della madre, G.N, per sollecitarle all’immediato pagamento degli interessi usurari. E, sempre in tale circostanza, disse loro che, nel caso fossero stati contattati dalla polizia, non dovevano riferire la reale natura dei loro rapporti. Il figlio della donna, R. P, in preda alle sue frequenti crisi di astinenza, ha in più occasioni estorto piccole somme di denaro alle vittime che, per timore di ritorsioni, gli avevano consegnato. Tra le vittime sottoposte all’usura da parte c’è anche una donna che corrispondeva un interesse mensile di 2 mila euro. Il coinvolgimento di M.N.P e del marito D.A detto “il messicano” (detenuto gli arresti domiciliari per altre accuse) emerge sotto un duplice profilo. Da un lato la M.N.P viene tirata in ballo da una vittima come diretta responsabile dell’usura, in un periodo antecedente all’instaurarsi del rapporto con la E.D.M; dall’altro viene chiamata in causa dalle altre vittime come intermediaria nei rapporti con la E.D.M.

Dalle indagini è emerso con chiarezza che, in più occasioni, M.N.P, abbia avvicinato le vittime nel tentativo di convincerle a continuare nei pagamenti interrotti a seguito dell’arresto di R.P. Inoltre si è appreso che la donna ricorreva anche ad esplicite minacce, ovvero prospettando pesanti ritorsioni sia attraverso R.P, una volta uscito dal carcere, sia da parte di pregiudicati del posto o di paesi limitrofi con i quali E.D.M era in contatto. D.A viene indicato dagli inquirenti come colui che contattava le vittime su indicazione della E.D.E sollecitando il pagamento degli interessi usurari. Come la moglie, insomma, intimoriva le vittime anche con esplicite minacce. A.D.L era la stretta collaboratrice della moglie del boss. Quest’ultima si è rivolta alla signora D.L in un momento di difficoltà dovuta alle indagini in corso e alla necessità di evitare eventuali controlli da parte degli investigatori (intercettazioni, pedinamenti ecc..). Vi era, dunque, la necessità di avvalersi di una persona “pulita” che non destasse sospetti in grado di fungere come intermediaria riscuotendo direttamente, nell’interesse della donna, le somme dovute a titolo di interesse usurario. La D.L, infine, è risultata essere una dipendente dell’Asl in servizio presso l’ospedale di Scafati.

Per questo, a seguito della ordinanza di custodia cautelare messa dal Gip Levita del Tribunale di Nocera, tutti gli indagati sono stati rinchiusi nel carcere di Salerno.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Famiglia di usurai arrestata a Scafati: ecco come agiva

SalernoToday è in caricamento